mercoledì 9 novembre 2011

La Casa di Kyoko - Prefazione

Il cielo ancora rischiarato da una lieve luce soffusa prometteva una notte limpida e lunga, ma era ciò che la sua vita era diventata ormai, una notte infinita passata ad aggirarsi per le strade tra le persone ignare che una creatura soprannaturale attraversasse loro il cammino.
Sebbene la notte fosse alle porte, un fiume di gente affollava le strade sterrate della cittadina di provincia. Kimoni dai mille colori e dai tessuti pregiati la sfioravano appena, diretti in questa e quella casa del tè. Un vecchietto che trainava il suo risciò le tagliava la strada, la schiena piegata in avanti e le braccia tese dietro intente a portare una giovane Geisha e la sua madrina al debutto in società. Sorrise osservandoli allontanarsi, un tale spreco di forze per una vita che ancora ignoravano stava già decadendo.
I fumi dalle case del Sakè si riversavano in strada, portando odori che un tempo allettavano la sua gola e stimolavano le sue passioni ma ora tutto intorno a lei odorava di sangue e sensazioni, era ciò che in quella notte la spingeva tra gli umani, quella sera il suo cuore sarebbe stato scaldato per qualche breve istante.
Il suono implacabile delle risate attirò la sua attenzione. Da una piccola casa del Tè sulla sua destra fuoriuscivano musica e risate, e l'odore dolcastro del sangue misto all'alcol del sakè allettò il suo palato. Gli occhi si soffermarono sull'insegna ben pulita dai colori stinti che ne indicava il nome: Casa di Kioko.
Senza rendersene conto entrò scostando lievemente le tendine che dal basso soffitto cadevano verso il basso, nascondendo l'interno del locale invitando i passanti con il loro moto ondulatorio.
Una donna di mezza età la accolse con il riguardo che il caso richiedeva. Il volto tirato dalla stanchezza e dalla vecchiaia le sorrise apertamente rivelando una fila di denti storti e poco curati. I capelli bianchi le ricadevano appena sulle spalle curve tenuti da un fermaglio ormai vecchio come la sua padrona.
L'odore del suo sangue giunse alle sue narici come una ventata di vento fresco e la investì con la consapevolezza che la poveretta non avrebbe visto la fine dell'inverno.
Con movimenti aggraziati ma irrigiditi dalla malattia le indicò un tavolo e poco dopo le porse una tazza del suo miglior tè. Dopo averla ringraziata con un filo di voce, e le rivolse un inchino di cortesia. Gli occhi si posarono sulla tazza che lentamente afferrò. Era ancora fumante e il suo tepore per un istante s’irradiò per tutto il corpo facendola crogiolare in quel calore così piacevole. Attorno a lei le giovani coppie si sorridevano maliziosamente, le ragazze conducevano un gioco antico, dove facevano assaggiare in un fievole tocco le loro virtù, ritraendosi poco dopo con fare timido e restio. La luce soffusa del locale lo rendeva simile a un sogno dal quale i frequentatori non volevano svegliarsi...

Tra tutti gli avventori un volto particolare spiccò da un angolo buio e appartato del locale, aveva scelto la parte della locanda più lontana, fuori da occhi indiscreti. I lineamenti che scorse erano duri sebbene fosse una figura dall'aspetto pressoché anonimo. I capelli neri ricadevano a ciocche unte sulla fronte come fossero una coltre di rami di salici piangenti fino a sfiorare gli occhi neri che si guardavano attorno svelti e indagatori, la gamba destra si muoveva in modo costante e irrequieto. Davanti a figura c'era una bottiglietta di sakè piena mentre le dita ticchettavano convulsamente sul tavolo. I vestiti di fattura approssimativa e dozzinale erano scuri e rivelavano un corpo atletico con muscoli guizzanti abituati a uccidere. In un modo totalmente inspiegabile non l'aveva notata, ma dopo tutto come avrebbe potuto intento com'era ad attendere il suo compenso per il lavoro sporco svolto la notte precedente.
Dopo qualche ora una figura incappucciata gli si avvicinò, gli consegnò un sacchetto di tela e si allontanò, dileguandosi nella folla della locanda così com’era arrivato, perdendosi poi nel freddo della strada.
L'uomo si alzò mettendo in tasca il sacchetto, come se nulla fosse, si guardò intorno con aria circospetta e uscì dalla casa del tè.
Con movimenti aggraziati, senza far alcun tipo di rumore lei si alzò dal tavolo, lasciando di malavoglia la tazza fumante di tè che fino a quel momento le aveva concesso un piccolo attimo di calore. Fece cadere qualche yen più del necessario sul bancone e uscì seguendo l'uomo a debita distanza senza mai perderlo di vista. Si era tirato sul volto un cappuccio ma la sua camminata furtiva era ben riconoscibile tra la gente per lei. Inconsapevole di chi o cosa lo stava seguendo s’inoltrò in un vicolo privo di luce se non quella lunare. Girò l'angolo poco dopo di lui e lo vide intento a guardarsi intorno in modo circospetto senza tuttavia riuscire ancora a capire che da lì a qualche secondo la sua vita sarebbe terminata. Nonostante tutto però affrettò il passo, temeva di essere rapinato e per questo voleva mettere al sicuro quei soldi sporchi di sangue il più presto possibile. Peccato fosse già troppo tardi, che sciocco.
Prima che potesse riemergere in una strada affollata, lo braccò con l'agilità di un felino, la sua mano bianca sul collo abbronzato dell'uomo. Lo sollevò da terra e il poveretto si agitò cercando di divincolarsi dalla sua presa. Lei lo guardò fisso negli occhi, nutrendosi del suo terrore e della sua paura più profonda. Lasciò cadere il velo che le copriva parzialmente il volto, e l'uomo ebbe un sussulto di meraviglia. Era incredulo che una creatura con la pelle candida come la porcellana e quindi così fragile, potesse avere una tale forza e un tale impeto.
Lei sorrise godendo anche dello stupore dell'uomo davanti a se, e in un lampo i suoi denti lacerarono la tenera carne del suo collo. Lentamente assaporò quel piccolo momento di pace, il peccato dell'uomo mitigò il suo facendo sussultare il suo cuore immortale. E per un breve momento lei fu lui, e il suo peccato fu di lei.
Lasciò che l'ultima goccia di sangue dell'uomo scendesse nella sua gola per placare la sete ardente che provava e mentre i suoi occhi continuavano a guardarlo sussurrò:
"Ora sei libero dal peccato"
E lo lasciò cadere a terra, ripulendo pazientemente il suo delitto.
Tornando nel locale si crogiolò nel tempore di quel sangue macchiato dal peccato dell'omicidio, e finalmente poté assaporare un breve istante di pace.